mercoledì 20 gennaio 2016

A Zav.




Fuori, sole e meno 15 gradi. Neve e cristalli di ghiaccio. Meraviglioso. Dentro l'autobus, quello grande con lo snodo centrale, solo poche persone. 
Una è seduta nel gruppo di sedili riservati a passeggeri con ridotta mobilità motoria, volgarmente detti anziani. Il che è chiaramente specificato dall'apposita etichetta con disegno bianco su sfondo blu.
La persona è un omone di quasi due metri con un giacchettino e un paio di jeans leggeri, ma per il resto pesantemente intabarrato.
Guanti, scarponi, cappello.
Giusto, la cosa importante è mantenere calde le estremità.
L'omone è rilassato e a suo agio. 
Con sguardo rapito e opportuna interpretazione stilistica, sta fischiettando "Un amore così grande", di Mario Del Monaco. Chiurli, gorgheggi, pause, cadenze, variazioni di volume. Notevole.
Sembra divertirsi.
Di sicuro non lo fa per gli applausi, ironici che siano, non può aspettarsene in terra svedese.
E i pochi compagni di viaggio non si divertono di sicuro... Del resto è domenica mattina e, girala come ti pare, il tipo ti fischia nelle orecchie.
E poi c'è la cosa del posto riservato agli anziani. Pessimo. Proprio pessimo.
E infatti lo stanno tutti guardando con un misto tra irritazione, rabbia e disgusto. 
Potendo scegliere, lo si eviterebbe volentieri. Ma nell'autobus, per quanto grande e semivuoto, non si può.
E allora bisogna rimanere lì, cercare di non guardarlo, sai mai che se la prenda, o peggio ancora che si infervori ancora di più e aumenti il volume della sua esibizione. 
E nel frattempo pazientare, sperando, speranza fino ad ora vana, che quel peculiare esemplare della specie umana la smetta,
Ah, quell'esemplare sono io.


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